27 marzo 1945
ASSALTO AL COMANDO GENERALE TEDESCO
DI VILLA ROSSI – ALBINEA – BOTTEGHE ‘
“Questa notte dalle ore 12 alle 12,30 (di notte) sparatorie di mitraglie, mitra, e bombe a mano, si sono udite verso Pareto Basso, Campolungo, Botteghe, Bosco Calvi e Villa Rossi. Alle 6,30 suonano alla porta della Canonica. Il Sig. Gino Cottafavi, contadino della “Vezzana”, mi viene a dire che nella notte ha accolto e soccorso un militare inglese rimasto ferito nel combattimento dell’attacco a Villa Rossi. Il militare tuttora presso il Cottafavi. Si teme il rastrellamento e la rappresaglia tedesca. Che fare?…”.
Queste, tratte dal diario del parroco di Albinea, don Ugoletti 1), sono le prime impressioni “a caldo” sul fatto d’arme della notte fra il 26 e ii 27 marzo 1945, accaduto in località Botteghe di Albinea, contro il Comando Generale Te desco di villa Rossi e villa Calvi.
L’episodio citato era l’atto conclusivo di un’operazione che aveva visto coinvolte, per molti giorni, le forze della Resistenza Italiana che operavano nella zona, affiancate dai partigiani russi comandati dal tenente Pirogov “Modena” 2), e da truppe regolari inglesi, inquadrate nel reparto S.A.S. (Special Air Service),con compiti di sabotaggio dietro alle linee nemiche nell’area di Modena e Reggio, agli ordini del maggiore Roy Farran, “Macgenty”, comandante dei battaglione alleato e della spedizione assieme al capitano Mike Lees, comandante della Missione inglese di collegamento.
Le forze partigiane erano costituite da due squadre: reparti scelti della 26a Brigata Garibaldina, comandata da Farn, “Gianni”, e della 145a Brigata, comandata da Mattioli, “Antonio”, e i Gufi Neri che, d comando di Glauco Monducci,“Gordon”, operavano alle dipendenze tattiche della Missione militare inglese facente parte della S.A.F. (Special Air Force), per colpi di mano al di qua della linea gotica.
Gli antefatti vengono dettagliatamente precisati dal maggiore Farran nel suo libro “Operazione Tombola” 3), daI quale si apprende che da tempo Mike Lees “sognava” di effettuare un attacco contro il Quartiere Generale del V° Corpo d’Armata Tedesco in Italia, situato ad Albinea, che aveva compiti di coordinamento delle forze tedesche anche al difuori della provincia di Reggio Emilia.
Lo stesso obiettivo era ritenuto di particolare importanza dalla Missione Inglese; infatti, come precisa G. Franzini 4), inizialmente si era pensato di distruggere con un attacco aereo, ma poi, per evitare un inutile spargimento di sangue tra i civili, il Comando Unico si era orientato verso un colpo di mano da realizzarsi con truppe partigiane e alleate.
Obiettivo dell’operazione era la distruzione dell’Ufficio Cartografico e del centralino telefonico collegato direttamente con Berlino, presso villa Calvi, e degli alloggiamenti degli ufficiali superiori della Wermadtt, situati a villa Rossi, con la speranza di potervi sorprendere il generale Kesserling, che sovente vi faceva capo.
Il gruppo d’attacco era in possesso di informazioni precise e dettagliate sull’obiettivo da colpire, grazie al prezioso contributo di staffette partigiane, costituite in maggior parte da donne che vengono ricordate coi nomi di battaglia, Argentina, Maria e ‘Norice”; quest’ultima, addirittura, durante una delle ricognizioni, aveva avvicinato una sentinella tedesca da cui era riuscita a farsi regalare una sigaretta 5).
Altra documentazione preziosa veniva tornita dal Quartier Generale Alleato di Firenze sotto forma di mappe e di fotografie aeree della zona da colpire che venivano paracadutate a Vallestra.
In base a quanto riportato da Farran, il Comando Alleato, favorevole all’impresa, poco prima della sua realizzazione, gli comunicò “con un conciso messaggio” che la stessa, avrebbe dovuto essere posticipata di una decina di giorni, “poiché vi era stato un cambiamento nei piani per l’offensiva principale”.
IL comandante inglese, però, dato che era stato predisposto tutto fin nei minimi particolari e, soprattutto, convinto che il successo di un’azione di tal genere era legato alla tempestività di esecuzione e alla sorpresa, decise, sollecitato anche dai comandanti partigiani, di fingere “di non aver ricevuto l’ordine in tempo” e di dar inizio all’operazione.
Tale determinazione era frutto del convincimento che il successo dell’azione avrebbe di gran lunga abbreviato la permanenza tedesca nella zona e permesso una più facile avanzata delle truppe alleate. A questo proposito, poco prima della partenza, il maggiore, dopo avere chiamato a raccolta tutti, ribadì questo concetto, incentivando i presenti a combattere al meglio delle loro possibilità 6).
Secondo la “Relazione sull’attacco al 51° Corpo tedesco” 7), documento relativo alle operazioni speciali dei XV Gruppo di Armate, il cui originale stato rinvenuto a Londra al Public Record Office dallo storico L. Casali, il punto d’incontro di tutte le forze partecipanti era fissato nella zona di Vallestra per la notte del 25.
Alcuni giorni prima, e precisamente ii 9 marzo 8), era stato paracadutato nella zona di Casa Balocchi, il più consistente gruppo d’Inglesi, e altri lanci erano seguiti nei giorni 10, 14, 18, 22e 23 marzo.
Il contingente aveva lasciato Vallestra alle ore 19 delia notte fra ii 25 e il 26 in autocarro; giunto a Montrevolo, aveva proseguito a piedi lungo ,la strada per Sorgara, La Torre, Pulpiano, evitando truppe tedesche attestate a Ca’ de’ Pazzi e a Monte Duro, poi, puntando verso Nord, aveva raggiunto ca’ del Lupo all’alba dei 26 marzo.
Le staffette di donne inviate nella zona di Albinea-Botteghe erano rientrate alla sera, confermando le notizie circa la dislocazione del contingente tedesco stimato intorno alle 500 persone.
Venne impartito alle 24 circa l’ordine di partenza ai vari gruppi che risultavano così composti: prima colonna di 40 Russi al comando di “Modena”, seconda colonna di 10 parà inglesi con 20 partigiani Garibaldini di “Gianni” più 5 di Antonio” 9), terza colonna di 10 parà inglesi con una ventina di Gufi Neri di “Gordon”.
Al comando dei gruppo erano i due ufficiali inglesi che si avvalevano dell’aiuto di un ufficiale italiano addetto alle informazioni, Giulio Davoli, “Kiss”, e di una guida di Albinea, profondo conoscitore dei luoghi.
A questo proposito riteniamo giusto precisare che questa guida era Giuseppe Casoni, “Brenno”, che, intervistato, ha riferito quanto segue: “Nel pomeriggio dei giorno 26 si presentarono a casa mia alcuni partigiani che mi pregarono di seguirli perché avevano urgente bisogno di me, senza tuttavia precisarmi niente di più.
Raggiungemmo verso sera Ca’ del Lupo, ove venni presentato al Maggiore Farran, il quale mi mise al corrente, con l’aiuto di un interprete, dell’azione che ci si apprestava a compiere e che si contava su di me per poter raggiungere l’obiettivo, senza incorrere in pattuglie tedesche. La partenza avvenne verso le ore 24; eravamo suddivisi in 3 gruppi che marciavano affiancati a breve distanza ed io ero nel gruppo centrale in prima fila con il maggiore. La marcia procedeva piuttosto spedita, al punto che il capitano Lees, febbricitante, più volte mi si avvicinò, chiedendo di rallentare il passo, ma ciò non era possibile perché dovevamo arrivare entro l’una nei pressi delle due ville.
II percorso seguito attraverso i carpi fu il seguente: da Ca’ dei Lupo raggiungemmo la Verra, e, dopo aver attraversato il Rio Vendina, passammo nei pressi di Broletto, poi tra Monte Iatico e Pareto; infine raggiungemmo Campolungo e, di lì, il bosco di villa Calvi.
A questo punto mi separai dal resto dei gruppo e, come previsto, rimasi in attesa della conclusione dell’azione, per riaccompagnare i superstiti al luogo di partenza.
Dopo l’attacco fui raggiunto da “Modena” e dal suo gruppo ed assieme riguadagnammo la montagna, senza venire in contatto col nemico. Il mio compito fu cosi concluso.
Dalla stessa fonte abbiamo appreso che il gruppo dei maggiore inglese, nel ripiegare verso la montagna, non conoscendo bene la zona, s’imbattè in una postazione tedesca e, nei conflitto a fuoco che ne seguì, rimase ferito un militare inglese che fu ospitato dal signor Cottafavi, come riportato nei diario del parroco, precedentemente citato.
Tornando all’azione, il compito dei partigiani russi era quello di disporsi a ferro di cavallo, per presidiare la strada che da Botteghe porta verso il Capriolo, onde evitare un intervento delle truppe tedesche presenti nella zona fra Botteghe e Puianello, dove erano sistemate anche due batterie antiaeree, o da Reggio Emilia.
La colonna ai comando di Lees e di “Gordon” aveva ricevuto l’ordine di attaccare villa Rossi contemporaneamente all’altro gruppo che, al comando di Farn, aveva come obiettivo villa Cavi.
Questa simultaneità nell’attacco venne a mancare.
A questo proposito un chiarimento stato dato da Gianni Farn, il quale, intervistato, ha riferito quanto segue:
“Arrivati in prossimità di villa Calvi, secondo quanto precedentemente programmato, fu dato il via alle operazioni: per primo partì il gruppo che doveva assaltare villa Rossi e, dopo pochi minuti, partimmo anche noi per villa Calvi.
Arrivati sull’obiettivo, demmo inizio all’assalto, eliminando le 4 sentinelle; immediatamente fu aperto il fuoco contro di noi da una delle finestre e noi rispondemmo a colpi di bren e di bazooka.
A villa Rossi il mitragliere di guarda sulla torretta cominciò subito a sparare sul gruppo di Lees e di Gordon che stava sopraggiungendo.
In base a quanto predisposto, l’attacco avrebbe dovuto essere simultaneo, invece il secondo gruppo arrivò sull’obiettivo in leggero ritardo a causa delle difficoltà incontrate a percorrere le distanze e anche , forse, per una non precisa lettura dei supporti topografici”.
Gli attaccanti di Villa Calvi riuscirono ad entrare all’interno dell’edificio, dopo aver sfondato la porta d’ingresso.
La reazione tedesca fu rabbiosa, ma non impedì al commando di distruggere molto materiale cartografico che venne incendiato, d’interrompere il cavo telefonico e d’infliggere perdite non accertate al nemico.
L’attacco a villa Rossi c’è stato così raccontato da Clauco Monducci: “Mentre strisciavamo lungo il viottolo che doveva portarci sull’obiettivo, udimmo prima un colpo di ta-pum e subito dopo fummo investiti da rabbiose raffiche di armi automatiche. Abbandonando ogni cautela, ci lanciammo di corsa all’assalto al grido di “Avanti Gufo Nero!”.
In tanto crepitio d’armi era chiaramente percettibile il suono della zampogna dello scozzese Kirkpatrick che, per tutta la durata del combattimento, ci sostenne ed incoraggiò con l’inno God save the queen.
Con nostra sorpresa sia il cancello che la porta d’ingresso alla villa erano stranamente aperti, tuttavia, una volta entrati nell’atrio, non fu possibile salire ai piani superiori per l’accanita resistenza opposta dai Tedeschi. Purtroppo vidi cadere colpiti a morte 3 parà inglesi 10), stramazzare al suolo ferito il capitano Lees e, dopo poco, avvertii un colpo tremendo alla gamba destra.
Riuscii a stento a guadagnare l’uscita e a gettarmi nei profondo fossato antistante la villa. Le mie invocazioni d’aiuto non vennero raccolte da un gruppo di paracadutisti che ritirandosi, mi passarono vicino, ma furono udite da “Pavia” che, rendendosi conto della gravità della ferita e dei fatto che da solo non sarebbe riuscito a portarmi in salvo, dopo avermi rassicurato, sparì per tornare in un breve spazio di tempo con alcuni compagni che mi portarono in salvo, assieme al capitano Lees”.
Riteniamo opportuno, per una più completa conoscenza dei fatti, riportare qui di seguito la testimonianza del signor Farn, “Gianni” il quale ha raccontato:
“Quando ormai stavamo abbandonando il luogo dello scontro per porci in salvo, ci raggiunsero due partigiani, “Sicilia” e “Pavia” che sorreggevano due feriti gravi che risultarono essere “Gordon” e Lees. Decisi subito di portarli non verso la montagna, bensì verso Canali, sia per depistare gli eventuali inseguitori, sia perchè quella zona, ben conosciuta da “Polvere”, poteva offrire rifugio sicuro.
I feriti vennero in un primo tempo trasportati adagiati su delle scale a pioli rinvenute in un cascinale, successivamente su un carro agricolo e così si raggiunse casa Bergomi a sud di Canali, ove Gordon e Lees vennero sistemati dentro una stalla adibita a laboratorio artigiano. In questo luogo vennero visitati e medicati da alcuni medici del servizio sanitario delle brigate della pianura.
In un secondo momento i feriti, grazie alla collaborazione di partigiani e contadini dei posto, vennero trasportati a tappe in una località dell’Appennino parmense, nella zona di Tizzano, controllata dalle truppe di liberazione e da lì, in aereo, portati in salvo a Firenze”.
Tutti gli altri combattenti che avevano partecipato all’azione riuscirono a porsi in salvo, senza essere intercettati da squadre tedesche già operanti nella zona in azioni di rastrellamento, salvo il gruppo dei maggiore Farran, come già riferito.
Secondo quanto riportato dall’Allegato E al Rapporto sopra citato, le perdite fra gli attaccanti furono di 3 parà morti; si ebbero inoltre 8 feriti, di cui 3 inglesi,2 russi e 3 italiani. Lo stesso documento parla anche di 6 partigiani russi dispersi, tuttavia nessun’altra fonte ne dà conferma. Per quanto riguarda le perdite in campo tedesco, che certamente non furono lievi, non si hanno notizie precise sul numero dei caduti.
La stampa fascista, invece, nel giornale “Il Solco Fascista” dei 28/3/45 parlava dell’azione facendo presente che 5 partigiani e 3 inglesi erano stati uccisi, mentre erano stati feriti e catturati 21 attaccanti; continuava dicendo che le forze tedesche non avevano subito alcuna perdita.
Fortunatamente a quest’azione non seguì alcuna rappresaglia in quanto, come riportato nel diario di Don Ugoletti, il colonnello tedesco era convinto che l’assalto alle ville fosse stata opera di commandos alleati poiché i caduti erano tutti militari inglesi.
Si ha inoltre notizia che nel giro di pochi giorni i Tedeschi smobilitarono completamente dalle due ville e si trasferirono a Cavriago, ove dovettero subire un nuovo attacco, questa volta compiuto da formazioni aeree. Questo fatto d’arme riveste particolare importanza in quanto i Tedeschi si resero conto che ormai nulla potevano contro le forze partigiane e alleate.
Va sottolineato che quest’azione congiunta di uomini di diversa nazionalità, di diversa estrazione sociale, di diverso indirizzo politico, è un esempio tangibile di quella che è stata la Resistenza Italiana ed Europea, e di come gli interessi di parte possano essere superati quando c’è da perseguire un valore imprescindibile per tutti: la libertà.
1) Il diario è conservato negli archivi parrocchiali di Albinea.
2) Questo gruppo era costituito da militari russi sfuggiti ai tedeschi e organizzati in squadre partigiane.
3) Operazione Tombola, Collins, Londra 1960, è stato tradotto ¡n italiano dalla professoressa
Graziella Gallazzi e a noi gentilmente concesso in visione dall’Istituto per la Storia della Resistenza (R.E.)
4) G. Franzini. Storia della Resistenza Reggiana. (R. Emilia, 1966).
5) Da “Operazione Tombola”.
6) Da un articolo di G. Monducci, pubblicato in “Il Volontario Della Libertà” del 29 Luglio 1945.
7) La Relazione ufficiale inglese è stata pubblicata in “Ricerche Storiche”, Rivista di storia della Resistenza Reggiana, nel num. 44 – 45 dell’anno 1981.
8) Secondo G.Franzini, opera citata, si sarebbe trattato del 4 marzo.
9) Questo particolare è stato riferito dal comandante Farri, mentre in tutta la documentazione si parla di 20 Garibaldini
10) Nell’azione rimasero uccisi il tenente J.A. Riccomini , il sergente Guscott ed il caporale Samuel Bolden , ai quali, in occasione del 40° , viene intitolata la piazza di Botteghe di Albinea.